Che fine hanno fatto i decreti attuativi della legge Gelli?

Settembre 2021 - n.21090003
L’approvazione della legge Gelli sulla responsabilità professionale, nel lontano 2017, era stata accolta con entusiasmo da parte di tutti gli attori in causa. Medici e professionisti sanitari in primis, ma anche pazienti e strutture. L’obiettivo della legge era (ed è), infatti, quello di ridurre il contenzioso, garantire un sistema risarcitorio più efficace e rivedere le polizze assicurative, da sempre tasto dolente della professione medica, soprattutto per alcune specializzazioni.
In questi anni non c’è stato un congresso che non abbia riservato una sessione (sempre partecipatissima) alle novità introdotte dalla legge. I convegni dedicati esclusivamente alla responsabilità professionale erano organizzati in tutta Italia con cadenza quasi settimanale. C’era una fame di informazioni e una voglia di cambiamento che solo una pandemia avrebbe potuto far passare in secondo piano. E infatti.
Dall’approvazione della legge Gelli sono passati quattro anni ma alcuni suoi decreti attuativi, che la renderebbero (appunto) attuabile in ogni suo comma, non vedono ancora la luce. “Ostaggio” della Conferenza Stato-Regioni, in particolare, è il “Regolamento per la determinazione dei requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie”.
Il decreto, quindi, che va proprio a regolare le polizze assicurative. Un tasto dolente per la professione medica che da oltre 18 mesi viene elogiata per gli sforzi compiuti nella lotta al Covid-19 e a cui vengono promessi (più a parole che con i fatti) ricompense e riconoscimenti. Quella professione medica che chiede a gran voce maggiori tutele, sempre più bersaglio di ricorsi e cause promossi da pazienti Covid e parenti delle vittime che (giustamente) cercano giustizia. E questo decreto attuativo della Legge Gelli potrebbe quantomeno chiarire alcuni aspetti fondamentali relativi alla responsabilità professionale di chi esercita una professione sanitaria.
Eppure le Regioni ne stanno rallentando l’iter di approvazione, nonostante il parere favorevole di tutti i Ministeri competenti (Salute, Sviluppo economico ed Economia), della Federazione degli Ordini dei Medici e degli altri enti coinvolti (strutture sanitarie e assicurazioni, soprattutto). Il pomo della discordia sarebbe, da quanto si apprende, l’introduzione di un meccanismo di bonus-malus che legherebbe la prevenzione del rischio clinico all’obbligo di aggiornamento continuo di medici e professionisti sanitari.
Si tratta dei commi 7 e 8 dell’art.3, che prevedono uno sconto sulla polizza assicurativa per coloro che, nel corso del triennio precedente, abbiano ottenuto almeno il 70% dei crediti ECM richiesti. Al contrario, in caso di mancato assolvimento dell’obbligo formativo e di sinistro, l’assicurazione può rivalersi sul professionista o sulla struttura sanitaria in cui opera. Da qui l’opposizione delle Regioni, nonostante anche la Commissione nazionale ECM abbia dato parere favorevole al testo. Il timore delle Regioni, infatti, sarebbe quello di non riuscire ad esercitare il controllo sulla formazione del personale sanitario, rischiando quindi di rimetterci da un punto di vista economico e tralasciando quelli che sono gli obiettivi della norma: non solo coprire eventuali responsabilità sanitarie, ma anche prevenirle, educando gli assicurati ad una migliore gestione del rischio e tutelando la sicurezza dei pazienti.
Senza dimenticare, infine, che mai come quest’anno è emersa l’importanza di formazione e di aggiornamento costanti del personale sanitario, che andrebbero sempre evidenziati e incentivati. Pena il possibile aumento di seguaci di gruppi social e manifestazioni in cui si mettono in dubbio vaccini, evidenze scientifiche e validità di farmaci. Anche questo, quindi, rientra tra gli obiettivi del testo: riconoscere premi assicurativi meno onerosi a chi rispetta quello che è comunque (lo ricordiamo) un obbligo di legge.
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